MESSA IN SICUREZZA. PROROGA DEI TERMINI PER INIZIO LAVORI
Di Matteo Barbero
Slittano i termini per la realizzazione da parte dei comuni fino a 1000 abitanti, dei lavori di messa in sicurezza, abbattimento delle barriere architettoniche e efficientamento energetico. Lo prevede un emendamento al decreto legge 51/2023 ora definitivamente approvato dalla commissioni affari costituzionali e bilancio della Camera. La data per iniziare i lavori, fissata originariamente al 15 maggio di ogni anno, slitta per il 2023 al 15 agosto. Qualora i lavori non vengano iniziati o i contributi vengano utilizzati solo parzialmente, scatterà la revoca dei fondi entro il 15 settembre 2023. Le risorse revocate verranno così riassegnate e i comuni beneficiari dovranno iniziare i lavori entro il 15 gennaio 2024. La disciplina di riferimento è contenuta nell’art. 30 dl 34/2019, che ha assegnato ai mini ejti un contributo complessivo di pari importo, nel limite massimo di 160 milioni di euro per l’anno 2021, 168 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023, 172 milioni di euro per l’anno 2024, 140 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2030, 132 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2031 al 2033 e 160 milioni di euro a decorrere dall’anno 2034. La gestione di tali somme spetta al Ministero dello sviluppo economico (oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy e anche negli anni passati ha imposto, a causa della sua rigida tempistica (difficilmente conciliabile con quella di altre misure, a partire da quelle comprese o confluite nel Pnrr) analoghe proroghe. Sarebbe forse opportuno ripensare alle scadenze anche per i prossimi anni, in modo da evitare il solito balletto dei rinvii, oppure un’ecatombe simile a quella che, nel 2022, ha portato a revocare con una pec circa 4800 opere ad oltre 4800 comuni. In quell’occasione, Uncem ebbe a rilevare in sesno fortemente critico che “I comuni sono intasati di questioni e di bandi, gli uffici senza personale non riescono a star dietro a tutto. Se ancora vengono penalizzati in questo modo, non si dà seguito alla sussidiarietà sancita dalla nostra Costituzione, così necessaria e decisiva oggi”. Da allora il quadro non è certamente migliorato.